Sto leggendo Napoli stanca, 17 scrittori raccontano la città nascosta, a cura di
Mirella Armiero, Edizioni Solferino. Nell'ultima parte ,Incanto e disincanto:
smascherare la città, due interventi, di Maurizio Braucci e Massimiliano
Virgilio, pongono la questione della mancanza di futuro per i giovani.
Gli adolescenti di Napoli e la barbarie
In un colloquio dell'autore con Francesca, psicologa dei minori, e Chiara, neuropsichiatra, egli mette il focus sull'assistenza psicologica agli adolescenti e sulla carenza del ruolo educativo dei genitori. "Un giovane paziente le aveva convinta che, per sfogare la tensione, stava praticando il parkour, l'attività sportiva di arrampicata e salto tra ostacoli e precipizi. La psicologa ci ha messo tempo per capire che il ragazzo era invece un assiduo frequentatore dei giochi online che simulavano il parkour. Da quel momento ha compreso che anche le amicizie di altri suoi pazienti erano virtuali, davano per scontato che averle sui social era lo stesso che averle nella realtà.... a quali ceti sociali appartengono i ragazzi e le ragazze che vivono maggiormente questa fusione tra reale e virtuale: La sovrapposizione è trasversale, indipendentemente dallo stato economico e culturale delle famiglie. Le famiglie benestanti e più istruite mantengono ancora qualche legame tra le esperienze reali e i loro figli. Che sia un corso, una vacanza, una gita, una residenza, è la maggiore disponibilità finanziaria e culturale a fare sì che tra la simulazione er la realtà di questi adolescenti ci siano comunque delle pause. I giovani più deprivati invece non staccano mai.
Non solo gli artisti si uccidono
Parlo di una particolare categoria di giovani - perlopiù studenti di cinema e di scrittura creativa - che forse in virtù di una sensibilità molto spiccata ha vissuto gli ultimi anni, dallo scoppio della pandemia in avanti, ed ha cominciato a farsi del male.
"So come ci si sente. In passato mi sono sentito anche io così, eppure ai miei tempi nessuno avrebbe pensato di chiudermi in casa, vietarmi la scuola, separarmi dagli amici, negarmi tutto"
Negli ultimi tempi i miei studenti hanno iniziato a farsi del male, Non tutti, ma qualcuno sì, lo ha fatto davvero. A volte mi chiedo se è il loro modo di riapparire sulla scena dopo un'assenza durata più di due anni.
Il contesto
Mentre scrivo queste righe sulle conseguenze della pandemia sui giovani, la pandemia non è affatto finita e la guerra tra Russia e Ucraina sembra solo agli albori. Ci sono poi la crisi climatica, l'inflazione, la siccità... Ci siamo mai chiesti cosa accade alla psiche di una generazione quando viene letteralmente bombardata dalle notifiche di news dal mondo in rovina?
Cosa ho capito ascoltandoli
"soffro di disturbo istrionico, ho già provato a uccidermi sei volte. Oggi prendo molti antidepressivi, faccio terapia due volte alla settimana, i miei genitori mi seguono in tutto quello che faccio" mi racconta M., un allievo che studia sceneggiatura. Diciotto anni appena compiuti... "Tendo a vivere i rapporti interpersonali con molta ansia, mi lego alle persone in maniera eccessiva" continua. "Cerco la loro attenzione in maniera morbosa e alla fine sto male, malissimo. Ma adesso ho capito come fare per non stare così. Semplicemente devo tenermi alla larga dalle persone, non affezionarmi, non attaccarmi a nessuno". Gli chiedo se isolarsi per non finire come in tutte le volte che ha poi tentato il suicidio non sia un pò triste come soluzione. "Lo so" mi risponde. "Ma al momento è l'unica arma che ho a disposizione per non farmi fuori". La consapevolezza del proprio dramma è un tratto comune anche agli altri ragazzi che ho intervistato. F., studentessa di dicannove anni che dal profondo Sud Italia ha raggiunto Napoli per studiare scenografia, mi racconta ciò che le è capitato durante il lockdown: "Vivevo in un paesino calabrese dove non c'è nulla. Ogni giorno, per andare a scuola , dovevo fare un'ora e mezzo di bus e poi trenta minuti a piedi. Eppure essere costretta chiusa a casa è stato peggio. Studiare è diventato impossibile. La mia più grande passione è la danza, ma mi sono rotta un legamento e ho dovuto abbandonare. Qui a Napoli non ho molti amici e nemmeno un fidanzato. Da qualche anno soffro di psoriasi e la mia pelle ha un aspetto sgradevole. Chi vorrebbe andare a letto con una così?"
Spesso la lucidità sconfina nell'irrazionalità, nel cinismo calcolatore di chi per proteggersi è costretto a immaginare il peggio per potere riprendere le adeguate contromisure. Sia M. che F. hanno paura a legare con gli altri coetanei, perchè temono che finirà male. E finirà male non perchè gli altri siano dei buoni a nulla, ma a causa del loro difetto. Per M. il suo difetto è ciò che definisce il "legarsi troppo"; per F. si tratta della psoriasi che le squama la pelle.
Se possibile, il conflitto di D. con i suoi genitori è ancora più radicale: "I miei genitori sono dei no-vax, non hanno voluto fare il vaccino e hanno preteso che non lo facessi nemmeno io, ora non riesco a perdonarli. E' come se si fosse rotto qualcosa che non so più rimettere a posto..."
Non lotti se non c'è un orizzonte a cui guardare. E se non hai più un futuro, è possibile che uno tenti di ammazzarsi. Tutti i miei interpellati conoscono l'autolesionismo da vicino.... La loro dimestichezza col dolore è spaventosa. M. però ha cercato di farsi fuori sul serio: "Quando uno dice di aver provato a suicidarsi, gli altri lo guardano come un bugiardo. Se sei vivo, hai fallito. E se hai fallito vuol dire che volevi solo attirare l'attenzione su di te. Certo che volevo attirare l'attenzione su di me, ma io volevo anche farla finita. Come posso spiegartela questa cosa?".
Imparare l'arte come rimedio?
Nelle parole dei ragazzi ho intravisto una luce fioca. Che si possa trasformare in una vivida e cosciente luminosità, tutto dipende dalla possibilità di trasformare i fragili desideri che si annidano nei loro cuori in qualcosa di concreto e vivo. Nessuno di loro ha a cuore questioni valoriali. Nessuno parla mai di politica, razzismo, ambiente, famiglia, chiesa, lavoro, soldi, potere. Ciò che desiderano è che la loro passione abbia un senso. "Da quando ho capito che non potrò più danzare, ho trovato un modo per dare sfogo alla mia passione in modo diverso. Studiare scenografia mi piace, avrei voluto ballare, ma immaginare le danze degli altri è altrettanto appagante". Il lavoro di M. ha colpito i suoi colleghi "E' una messa in scena simbolica del mio suicidio. Finisce con la morte, ma non è un indizio su ciò che farò in futuro, bensì una rappresentazione catartica di ciò che ho fatto e di ciò che non farò. Voglio diventare un buon regista". Infine, D. "Nei mesi che ho trascorso chiuso in camera, ho scoperto dei gruppi di role playing molto attivi in rete e con loro ho iniziato a giocare. Ho scoperto che potevo viaggiare e lavorare con la fantasia anche chiuso nella mia cameretta. Mi ha molto aiutato e ha contribuito ad aprirmi un mondo sulle possibilità dell'immaginazione".
Per i miei studenti l'arte e le sue possibilità sono davvero importanti. Sono necessarie. Vitali. Sono l'unica cosa che conta. E questo, in un'epoca di robot della comunicazione e artisti servili e oltremodo incapaci di andare oltre il proprio ombelico, mi commuove. Vivono la dimensione dell'arte come l'unica possibile, ne va della loro identità, E della loro vita.
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