domenica 27 novembre 2022

Čajovka | teewurst, pasta cremosa spalmabile a base di carne


Questo patè di carne è il corrispettivo nordico della nduja (senza il piccante)

duzione

Il salame (pasta cremosa a base carnea, o patè di carni varie) "Métský", teewurst, o Čajovka (da piccolo li chiamavamo Macesky, nome che si usa anche per i fiori violette) viene spiegato in questa ricetta del titolare web Signor Malek. E' un prodotto che piace per la consistenza di un impasto di carne pregiato con l'aggiunta di strutto affumicato e lardo di maiale. È popolare per il suo gusto e aroma decisamente affumicato
RECEPT: 2,5 kg vepřová kýta (maiale, coscia) 1 kg vepřová plec (maiale, spalla) 6,7 kg vepřového boku bez kůže (maiale, lpezzo laterale, anca, senza pelle)
246 g pragandy (sale veloce aromatizzato,per fermentazioni del salumiere





30 g pepře pepe
10 g sladká paprika, paprika dolce 5 g česneku, aglio 10 g cukr moučka zucchero a velo
macinare la carne, impastare, lasciar riposare, affumicare a freddo, 18 gradi per due ore

martedì 1 novembre 2022

dilettantismo di un boomer anni '70

 Ricordando tutto quello che fa parte del miei trascorsi, come li ho ricordati fino ad adesso, non esce fuori lo spirito che mi rappresenta, l'immagine è falisificata, semplificata, sembra che tutto sia andato in modo piacevole, soddisfacente, ma non è così. Rileggendo episodi degli anni di Torino, sembra che ho fatto mille esperienze. La mia fortuna è stata quella di essere stato coinvolto, aggregato a partecipare a quelle esperienze, ma non le ho create, volute, realizzate. Se non ci fossi andato, non sarebbe cambiato nulla, chi le faceva le avrebbe realizzate lo stesso.

Sono sempre stato maldestro, imbranato, non professionale. Nelle gags comiche portate in giro con i gemelli,  la schiuma da barba riuscivo a farla andare negli occhi, con fastidio tale da interrompere la scena. Nelle scene teatrali con Renato, rovinavo tutto per una debolezza fisica, mi mancava la forza nelle gambe; se dovevo suonare una musica, la facevo fuori ritmo, senza melodia; se volevo improvvisare una battuta, me ne uscivo con una esclamazione che aveva un accento dialettale (meglio sarebbe stato usare una lingua straniera, come il cecoslovacco). Del mese trascorso a lavorare nel centro estivo di Nichelino, tutti hanno dato il meglio di sè, tranne io. Anche i ragazzi hanno lavorato meglio e di più, anzi hanno creato battute di spirito, improvvisando.

Una sera, ina osteria vicino a via Nizza, via Ormea, al tavolo vicino al nostro un magnaccia rimproverava verbalmente la sua protetta, io mi sono intromesso, lui ha cacciato la pistola, ed ha schiacciato il grilletto; sono qui a raccontarlo perchè il colpo non è partito. 

In visita a Renato, a Roma, nel 1988, mi ha portato negli studi RAI dove stavano registrando "DOC", e mi ha presentato Renzo Arbore. Ad Arbore ho lasciato una bottiglia di vino Lacrima, imbottigliata da mio suocero; parlandogli del Salento, gli ho raccontato di un locale a Maglie, il Pub, dove era possibile suonare il pianoforte e partecipare alle jam sessions. C'è chi usa dire le parole inglesi come si leggono, ad esempio club, alla francese, suona bene: quella volta dalla mia bocca uscì la dizione alla francese, invece di pab, dissi proprio pub.

Tra gli episodi dei miei 16 anni, c'erano le gite di scuola in montagna, una volta alla settimana, alla scuola di sci. Nell'autobus, si cantava, da De Andrè alle canzoni popolari, e mi univo ai cori, sgolandomi  come se stessi in una gara di canto (gli sci di fattura cecoslovacca, portati in Italia durante un viaggio di famiglia, gli attacchi antediluviani, con la vite da avvitare, non a scatto come oggi, i pantaloni da sci di mia sorella).

Quando suonavo la chitarra (o mi esercitavo al pianoforte, sulle canzoni dei cantautori, con gli spartiti acquistati) non mantenevo mai il giusto ritmo, mi perdevo le battute, seguendo la melodia, ma senza struttura. 

Dei seminari di teatro, le sessioni di gruppo erano esaltanti, il correre a piedi nudi, salutare il sole:  ma le poche volte che sono capitato in uno scatto fotografico, quello che si percepisce guardando le mie espressioni è sofferenza, sforzo, non gioia.

Memorabili sono state le partecipazioni ad eventi di veri professionisti, come a Montescaglioso, l'atmosfera magica nel chiostro medievale. Renato portava la regia di un gruppo romano, non ricordo la trama, era tutto ben orchestrato, i tempi giusti, le battute, e dopo lo spettacolo, una cena improvvisata a base di frise e pomodoro, ed un lucano del luogo ci offrì un bicchiere di vino, ottimo. Tra il gruppo c'era anche Nicoletta, l'attrice che aveva lavorato con Renato ad "Indietro tutta", una delle due vallette principali. Tornammo a Novoli che era notte fonda, Renato alla guida della Ford Taunus, insieme a Nicoletta ed al suo compagno, ed ospitammo loro tre alla bene meglio, chi sul materasso e chi a terra.

Ricordo con nostalgia gli oggetti e le prime esperienze all'aperto

Della casa dei nonni, e degli usi e costumi, dei pantaloncini estivi, simili ai nostri costumi da bagno, ma senza retino interno: stavo attento a non aprire le gambe per non dare spettacoli indecorosi; i pantaloni da tuta, sia invernali che leggeri, di panno, di solito neri, teplaky, che si indossavano sia in casa che all'aperto.

Ricordo le prime uscite notturne, sotto le stelle; a Trieste sul Carso, zona Padriciano, chiedemmo ospitalità in una parrocchia, ripiegammo sul dormire in auto, guardammo le stelle cadenti a San Lorenzo, con la mamma e le sorelle. Un anno dopo, andammo nel parco del Gran Paradiso, sempre dormendo in auto, c'era anche mio cugino Jara, vicino ad un ruscello, la mattina presto abbiamo visto il sole sorgere e ci siamo riscaldati. Sulla collina torinese, con mia madre, a cercar funghi e aria fresca;  una gita in auto con mia madre verso Torre Pellice, con foto sulla punta di una roccia, i capelli al vento: sono stato iniziato a queste uscite ed a capire che anche mia madre aveva bisogno di spazi aperti, lontano dalla città.

Ricordo con piacere le atmosfere dei gruppi con cui ho lavorato, e gli oggetti di quegli anni '70, i modi di fare e di vestire, i gusti, gli oggetti amuleto

Ciondoli di cuoio o in filo di lana, con appesa una pallina blu persia, di ceramica, molto più bella di una biglia di vetro pieno, come si usavano negli anni '70, con i colori in spirali continue

una borsa a tracolla di lana peruviana, ipercolorata di blu, rosso, bianco (una gag dei gemelli, per dileggiare Renato che prendeva e partiva per le sue destinazioni di teatro, era quella di caricarsi a parodia un ferro da stiro a mo' di borsa, sulla spalla), 

una borsa da mare di paglia, dalla bocca larga e lunga, per i souvenir  acquistati nei viaggi

un cilindro nero, non rigido, ma con i lati di stoffa, che rientravano nei bordi della tesa, appiattendosi. 

pantaloni di stoffa dai colori sgargianti, cuciti a mano, con i laccetti alle caviglie, per tenere e anche per dare vaporosità, leggerezza, movimento, al cavallo ed ai gambali,

ciabatte cinesi, dalla suola di tela, buone per stare a casa o per fare esercizi di Tai chi,

 a terra, sul tappetino, sedute di massaggio alla schiena, a far scrocchiare le vertebre 

una custodia di violino, che non suonavo, ma che faceva da borsa, dava importanza

i giardini del Valentino, luogo di eventi, incontri e spettacoli di mimo

i concerti al palasport e nei parchi (Don Cherry, parco Rignon) 

fare capriole, salti ribaltate sulle mani, esercizi a due o a tre persone, di acrobatica

un albero carico di cachi alla Madonna del Pilone, in inverno, uno di albicocche, a luglio, in un cortile di corso Tortona/angolo corso Belgio (gustose), tra lo sferragliare dei tram rientranti al deposito (dall'alba a mezzanotte)



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