Gran parte del carbonio arriva al suolo sotto forma di resti vegetali e animali. Qui, a causa della complessa natura dei residui organici, numerose specie di microrganismi sono coinvolte nel processo di degradazione. Parte del carbonio viene convertito in CO2, parte viene incorporato nei tessuti microbici e parte viene convertito in humus che viene lentamente mineralizzato. La quantità di carbonio che ogni anno viene immobilizzato nel suolo ammonta a circa il 15% della CO2 contenuta nell'atmosfera), mentre una quantità equivalente viene annualmente rilasciata in atmosfera dai processi di decomposizione nel suolo. L'emissione di CO2 dal terreno continua ad crescere all'aumentare della temperatura. Secondo Cox questo secondo processo diventerà il principale intorno al 2050 ed il carbonio stoccato nel suolo subirà un decremento di circa 170 Gt C tra il 2000 e il 2100. La deforestazione e le normali pratiche agricole quali l'aratura, causano l’alterazione della struttura del suolo e la sua ossigenazione, accelerano la decomposizione della sostanza organica.
vengono incentivate pratiche agricole meno impattanti, quali le arature superficiali o le colture permanenti.
carbone di origine vegetale o biochar
Un metodo innovativo per aumentare la stabilità del carbonio stoccato nel suolo prende spunto da antichi terreni dell'America del Sud. Nell'Amazzonia brasiliana ci sono numerosi siti dove il suolo presenta caratteristiche assolutamente diverse dai terreni adiacenti, nonostante mineralogia e tessitura siano le stesse. Al contrario dei suoli fortemente alterati tipici della foresta amazzonica (soprattutto Ferralsol ed Acrisol), di colore rosso, poco fertili perché ricchi in caolinite, dal pH acido e ricchi in alluminio, i suoli denominati Terra Preta do Indios hanno un colore nero, un pH alcalino, ospitano microrganismi endemici e sono particolarmente fertili. Sono caratterizzati da un alto contenuto in materiale carbonioso (black carbon – oltre 70 volte più dei suoli circostanti e fino ad una profondità di 40-80 cm), prodotto dalla combustione incompleta di parti vegetali (probabilmente resti di fuochi per cucinare il cibo) e interrato coscientemente nel terreno dalle popolazioni locali in migliaia di anni. Le terre nere dell'Amazzonia hanno un alto contenuto di nutrienti e di sostanza organica stabile, e presentano un'elevata capacità di scambio cationico
la carbonificazione e l'interramento dei residui vegetali fornisce al suolo consistenti quantità di sostanza organica stabile, con una forte capacità di trattenere i nutrienti; la tecnica taglia e carbonifica (slash and char) diventa inoltre un importante mezzo per prevenire il rilascio di grosse quantità di CO2 in atmosfera.
La tecnica slash and char non richiede di abbattere altri alberi, le biomasse da carbonificare provengono dallo stesso appezzamento coltivato o dagli scarti di lavorazione, e gran parte del carbonio (mediamente più del 50%, secondo diversi esperimenti in laboratorio) viene trattenuto nel sistema.
La carbonificazione di biomasse e l'interramento nei suoi agricoli del carbone vegetale così ottenuto (biochar) può rappresentare una nuova tecnica per gestire i residui vegetali, alternativa alla combustione (che produce immediatamente grosse quantità di CO2), all'abbandono in superficie o all'interramento dei residui secchi e anche al compostaggio, da cui si origina humus stabile destinato però alla progressiva decomposizione.
i residui carboniosi da combustione incompleta di biomasse o combustibili fossili (black carbon) sono ubiquitari nei suoli e nei sedimenti, a causa di incendi di origine naturale. Nel clima umido e temperato della Galizia sono stati studiati terreni contenenti notevoli quantità di black carbon risalente a fuochi di oltre 8000 anni fa, che hanno causato l'accumulo di sostanze altamente aromatiche in suoli ricchi di idrossido di alluminio. In Germania, il black carbon contribuisce notevolmente al contenuto di humus dei terreni situati in aree industrializzate, ma anche in zone più remote, con apporti tra il 2.7 e il 13.1% del Carbonio organico. Frammenti di piante carbonizzate costituiscono anche una componente importante della frazione umica di suoli vulcanici giapponesi. Il black carbon, sotto forma di fuliggine, nerofumo o carbone vegetale, è resistente alla degradazione chimica e biologica, costituendo così un accumulo di carbonio con un lungo tempo di residenza, grazie alla sua struttura altamente aromatica e alla protezione offerta dalla forte interazione con le particelle minerali. Il dissodamento del terreno, che causa la perdita di circa il 12% del carbonio organico totale, non incide significativamente sulla quantità di carbonio pirogenetico. In sostanza il black carbon è un sink di carbonio (serbatoio dissipatore del CO2), rimuovendolo da un ciclo a breve termine e integrandolo in un ciclo a lungo termine
Il carbone vegetale = carbonaie
Carbonificando i residui organici delle coltivazioni e interrando il BIOCHAR, si aumenta la fertilità del terreno “immobilizzando” carbonio atmosferico nel suolo.
Il BIOCHAR rappresenta un sistema di gestione dei residui organici alternativo alla combustione (che produce CO2), e all’interramento dei residui (che fa tornare il carbonio nell’atmosfera attraverso l’ossidazione della sostanza organica ). E’ quindi un modo economico, sostenibile ed ecocompatibile per trasformare i residui delle coltivazioni agricole in una risorsa e per ridurre la CO2 atmosferica.
BIOCHAR: una soluzione sostenibile ed ecocompatibile:
Per gestire i residui delle coltivazioni agricole, spesso considerate più un problema che una risorsa.
Per migliorare le proprietà e la fertilità del terreno, diminuire la lisciviazione degli elementi nutritivi ed aumentare le rese di numerose colture agricole.
Per incrementare la fertilità del suolo e ridurre l’impiego di concimi di sintesi, con minori spese per gli agricoltori, minor impatto sull’ambiente, minor consumo di risorse ed energia.
Per immobilizzare carbonio nel suolo per lunghi periodi, “eliminandolo” dall’atmosfera.
il bio-carbone conferisce al terreno notevoli miglioramenti delle qualità agronomiche, ammendanti e fertilizzanti
oltre al cabone vegetale, che contiene poco potassio e fosfato, esiste il biochar da origini animali che è ricco in microelementi fertilizzanti come potassio e fosfato
Come si produce il BIOCHAR?
I sistemi tecnologico-industriali per produrre BIOCHAR si basano sulla pirolisi o la gassificazione di biomasse vegetali. Se una biomassa viene scaldata oltre una certa temperatura in assenza di ossigeno, essa produce un gas infiammabile (syngas) e del bio-olio anch’esso combustibile. il BIOCHAR è il residuo
Che materia prima ci vuole per produrre BIOCHAR?
Il BIOCHAR può essere ottenuto a partire di biomasse vegetali o animali di ogni genere. Ma ogni BIOCHAR sarà diverso, così come diverse saranno le sue proprietà e le sue potenzialità di applicazione in agricoltura.
Qual è il potenziale del BIOCHAR per il sequestro di CO2 atmosferica ?
Il BIOCHAR contiene tra l’80 ed il 90% di carbonio. Quindi ogni tonnellata di BIOCHAR si genera da una quantità di anidride carbonica (CO2) atmosferica pari a circa tre volte il suo peso. Se immettiamo nel suolo una tonnellata di BIOCHAR, si sottraggono 3 tonnellate di CO2 dall’atmosfera. L’Opzione BIOCHAR, se praticata su vasta scala, ridurrebbe del 9% le emissioni di CO2 europee. Se solo il 3,2% dei residui agricoli italiani venisse trasformato in BIOCHAR, l’Italia raggiungerebbe l’obiettivo previsto dal Protocollo di Kyoto.
Perché il BIOCHAR è una soluzione ai cambiamenti climatici e alla green economy?
I benefici sono molteplici:
Economici: la gassificazione anziché la combustione si produce syngas che può essere utilizzato per cucinare;
ambientali: può aiutare a recuperare terreni degradati e privi di fertilità e favorire la riduzione della deforestazione
la gassificazione non richiede necessariamente legno, che è costoso, ma può essere ottenuta a partire di qualsiasi tipo di residuo vegetale: stocchi di mais, gusci di noce o di arachide, pula di riso, scarti di potatura e di lavorazione del legno, o da biomasse appositamente coltivate per essere carbonificate.
le biomasse possono essere convertite in bio-carbone tramite flash pirolisi.
Sullo stesso principio si basano i processi industriali di pirolisi: la decomposizione termochimica di materiali organici viene ottenuta mediante l’applicazione di calore in assenza di agenti ossidanti.
Reazioni radicaliche, o cracking, a temperature di 400-800°, causano la scissione dei legami delle molecole di partenza, e il riassemblamento successivo origina, in quantità variabili a seconda delle condizioni di reazione e della durata del trattamento, un residuo carbonioso solido (char), un liquido nero viscoso (tar) e una miscela gassosa composta sostanzialmente da CO e H2 (syngas, in cui si pone il 50% del Carbonio iniziale).
Il processo è esotermico, cioè dopo l'apporto di calore iniziale si autosostiene, e porta alla formazione di quantità bassissime di anidride carbonica.
Processi di pirolisi vengono utilizzati industrialmente per lo smaltimento dei rifiuti, per produrre combustibili solidi, liquidi e gassosi e per la formazione di carboni attivi e intermedi chimici. Se lo scopo del trattamento è però l'immobilizzazione del carbonio per il contenimento dell'effetto serra, devono essere utilizzate condizioni di processo che massimizzino la formazione di char.
Le tecniche più comuni di fast e flash pirolisi utilizzano tempi di residenza inferiori ai due secondi e temperature comprese tra i 350 e i 500° C. Alte pressioni di vapor d'acqua all'interno del forno, inoltre, aumentano la resa in carbone, agendo da catalizzatore.
Con l'interramento dei residui colturali tal quali si arriva ad una degradazione della sostanza organica in pochi anni, con liberazione del 100% del carbonio in atmosfera, però tutta l'energia viene persa.
il bio-char è in grado di trattenere notevoli quantità di cationi scambiabili, grazie anche alla sua elevata porosità e al conseguente altissimo rapporto superficie/volume.
nei terreni antropogenici amazzonici, che contengono una gran quantità di nutrienti scambiabili, questi non subiscono lisciviazione, fornendo una spiegazione alla sostenibilità della fertilità. Anche apportando azoto come concime questo non viene dilavato, ma rimane disponibile per le piante.
Il pH del terreno subisce un incremento, a causa delle sostanze basiche contenute nel bio-char; soprattutto in suoli acidi viene migliorata così l'abitabilità da parte delle piante, che trovano maggior disponibilità di fosforo e minore di alluminio, fitotossico. Alcuni tra gli stessi cationi che conferiscono alcalinità al terreno, come calcio e potassio, sono anche dei nutrienti importanti, e si trovano in forma facilmente scambiabile
Il bio-char conferisce struttura al terreno, e anche in terreni pesanti argillosi, che danno croste superficiali o che presentano problemi di eccessiva sodicità, ne migliora le proprietà meccaniche diminuendone la forza di trazione
Aggiunte di quantità consistenti di bio-char aumentano significativamente la capacità di campo
Un fattore limitante è la quantità di azoto disponibile. Il bio-char ha difatti normalmente un rapporto C/N molto alto (200 C: 1 N), ma una volta effettuata una concimazione di azoto ammonico o ureico, questo verrà trattenuto e reso disponibile alle piante grazie all'elevata CSC.
E’ possibile utilizzare come materia prima della pirolisi sostanza organiche proteiche o di origine animale;
dalla caseina, per esempio, è possibile ottenere un bio-char con oltre il 9% di azoto ed elevata porosità
la capacità di fissazione dell'azoto da parte di Rhizobium su leguminose (fagiolo) viene incrementata dall'addizione di bio-char nel suolo
PBC Biochar di origine vegetale, è un prodotto carbonifero di origine vegetale, contenente carbonio altamente stabile, caratterizzato da micro e macroporosità, in grado di migliorare la qualità del suolo e dotato di una relativamente alta ritenzione idrica, capace di assorbire elementi nutritivi e di sequestrare carbonio, ma sprovvisto di effetti fertilizzanti economicamente significativi. Il biochar “PBC” è prodotto a partire da biomasse vegetali sottoposte a trattamento termico riduttivo, con temperature variabili tra i 450 ed i 550°C, in condizioni di pressione negativa, che portano ad avere emissioni ambientali pari o prossime a zero.
Il biochar vegetale (PBC) è un prodotto in grado di migliorare la qualità del suolo
Il biochar di origine animale (ABC) è un fertilizzante fosfatico organico.
Le fasi del ciclo rizofagico: sequenza in 12 punti per le piante per ottenere nutrienti dal suolo
1. I microbi colonizzano il meristema dell’apice radicale da cui le plante secernono gli essudati: carboidrati, acidi organici, amminoacidi
2. I microbi si stabiliscono intracellularmente dentro le cellule radicali (tra la parete e la membrane plasmatica)
3. I batteri si spogliano delle pareti batteriche, strippate via dal superossido prodotto dalle cellule radicali
4. movemento costante dei protoplasti microbici intorno alle cellule radicali ‘cyclosi’ con esposizione al superossido che estrae nutrienti dai protoplasti (il movimento spezza il gradiente di concentrazione, agitando facilita diffusione di nutrienti
5. I protoplasti microbici si moltiplicano dentro le cellule radicali così che si formano cloni multipli dei batteri
6. I protoplasti microbici Internalizzati dei peli radicali producono ormoni di crescita (etilene, ossido nitrico) stimolano la formazione e la crescita dei peli radicali
7. I protoplasti microbici sono espulsi nel terreno dai pori sulla punta degli apici radicali in allungamento
8. I peli radicali secernono essudati (es., carboidrati, amminoacidi) sui batteri appena espulsi dagli apici
9. I protoplasti microbici riformano le pareti nel suolo
10. I microbi colonizzano la rhizosfera
11. I microbi acquisiscono altri nutrienti che servono per crescere nella rhizosfera
12. I microbi ri-colonizzano I meristemi degli apici radicali (nuovo ciclo). Questo permette alla pianta di aver 30% in più di sostanze azotate
Esperimento di Elevata CO2 in grano
• semi di grano: disinfettare la superficie (45 min 4% NaOCl) per ridurre i batteri ambientali.
• batteri asportati dal seme non sono affetti
• Semi messi su agarosio+proteina 0.1% (denaturata, lipasi).
• piantine germinate e cresciute per 3 giorni in lab in aria atmosferica (approx. 410 ppm CO2).
• piantine collocate in camera in atomsfera controllata, uno con 410 ppm CO2 , l’altro con 560 ppm CO2 (concentrazione prevista nei prossimi 100 anni), incubate 4 giorni a temperatura ambiente.
• piantine tolte dale camere e colorate per 15 ore mettendole in flusso di
Diaminobenzidina DAB, per visualizzare H2O2.
• piantine in entrambi gli esperimenti visualizzate al microscopio
Mostrano l’attività rizofagica nelle radici a 410 ppm CO2
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