giovedì 5 maggio 2011

autoradiografia

La prima esperienza/esperimento che un ricercatore studente compie per arrivare ad un risultato,  lavorando con campioni piccoli, come cellule, l'attività di enzimi o RNA, difficile da raccogliere in quantità sufficiente, si basa sulla marcatura radiattiva.
Nei nostri laboratori, si mettono a disposizione dei lavoratori anelli di misurazione della radiattività che ogni anno vengono controllati affinchè non si superino le dosi  raccomandate di esposizione nel tempo alla radiattività. Nei laboratori sono presenti inoltre contatori geiger, schermi al piombo per lavorare in sicurezza, camici con piombatura delle parti vitali (tiroide, ecc...) e docce agli ingressi da usare in eventuali incidenti di contaminazione.
I radionuclidi maggiormente in uso sono il fosforo 32, altamente ionizzante, che può marcare singole molecole di RNA ed essere rilevato a distanza di ore o giorni. In pratica, sulla membrana in cui è presente l'RNA da evidenziare, si effettua l'addizione di P32 mediante una ligasi terminale che usa ATP con liberazione di fosfato, il fosfato in gamma viene legato all'acido nucleico. Si fa anche uso di fosforo 33, meno pericoloso ma con emissione più debole, per evidenziare il risultato si usano esposizioni di giorni o settimane.
Altri radionuclidi usati sono carbonio 13, azoto 15, trizio (nei dosaggi enzimatici).
Ogni liquido venuto a contatto con questo materiale viene conservato in bottiglioni di vetro (per emissioni deboli o mediamente assorbite dal vetro) o schermati da piombo  per la radiattività ionizzante, e smaltiti da ditte specializzate.
Nel laboratorio ospedaliero RadioImmunoAssay si usano molto  i dosaggi radioimmunologici, per cui Rosalyn Sussman Yalow prese il Nobel nel 1977: per misurare gli ormoni ed i loro recettori, si usano radionuclidi dello iodio e  trizio.

A questo punto introduco ora il racconto della mia esperienza giapponese.
La prima volta che un ricercatore inizia o entra in un gruppo di ricerca in Giappone, dovendo lavorare con radionuclidi, deve seguire dei corsi di gestione della radioattività, lezioni e discussioni con un medico specialista in radioattività, che gli permette di ottenere il "pass" cartellino elettronico per i laboratori in cui si gestiscono esperimenti con la radioattività ( con registro di orario di entrata e uscita). Un contatore geiger in ogni stanza, per monitorare se si è lasciata traccia o si è sporcato la zona di lavoro, materiale per detergere tutti i materiali venuti a contatto (pipette, bancone)   svuotandoli nei raccoglitori adeguati, ed un contatore geiger all'ingresso, per misurare la presenza di radioattività sulle mani, sulle scarpe, insomma per una certificazione di essere "puliti".
Il docente spiega quanto possa essere pericoloso assorbire dosi elevate, specie per la degenerazione del codice genetico,  la trasmissione di DNA con geni modificati, proteine malfunzionanti e l'ereditarietà di malattie. Questo è un punto delicato, perchè prima di combinare un matrimonio le due famiglie fanno accertamenti sulla salute dei futuri genotori, e sulle origini degli antenati dello sposo/sposa.
Il docente non si è fatto scrupolo di usare perifrasi, facendo il paragone tra l'atto delle generazione e un razzo spaziale che trasmette il DNA nella conquista dello spazio.
Insomma, questa è stata la teoria. Nei fatti, la pratica di come maneggiavamo la radiattività è stata completamente fantozziana....
Una sera, dovendo fare una marcatura di gel fuori dalla stretta conformità alle imposizioni e al regolamento, ho portato il flacone con il fosforo protetto nel flacone di piombo fuori, e ho finito l'esperimento sul bancone di lavoro personale, per poi riportare il gel/membrana dentro la zona addetta alla radiattività... 
Come rientro, il contatore geiger è partito a sirena facendomi sobbalzare di spavento (allora, questa porcheria che ho in mano, ma quanto è forte?).
Finita di compiere l'incubazione lasciando il materiale dentro lo schermo apposito, per il resto non ci sono state registrazioni dell'evento, a parte il cartellino con orario di ingresso e uscita...
Nella mia considerazione, mi ritenevo il solito gaijin "esterno" refrattario alle regole, però dopo ho scoperto che altri agivano in modo simile.
Ad esempio, il dottorando che veniva a lavorare di notte, faceva correre i gel nel laboratorio normale, caricando la  radiattività lungo il gel, per poi raccogliere il tampone di corsa in bottiglie lasciate dentro lo sgabuzzino....
Il sistema prevedeva regole precise di gestione anche dell'acqua corrente e di quella sporca, con solventi o carica di altre sostanze, che avrebbe dovuto essere smaltita in modo separato, per non inquinare l'impianto di depurazione. Nella pratica, dovendo smaltire tali liquidi venivano scaricati dentro il water.
A nostra disposizione c'erano sia lastre di autoradiografia che alcuni pannelli simil-fotografici, che vengono scansionati con un laser per azzerare tracce di segnale, per essere riutilizzati. molte volte. Si mette a contatto il materiale da analizzare (gel seccato, o membrana di nitrocellulosa) con la lastra, operando in camera oscura, si sigilla dentro la cassetta per le lastre fotografiche, e si lascia agire in tempo ritenuto sufficiente. Tali gel si possono rileggere, cambiando i tempi di esposizione, se il primo risultato non è soddisfacente. La lastra fotografica viene processata come un negativo, mentre la lastra ad impressione luminosa viene letta da uno scanner, che acquisisce l'immagine in formato elettronico.
Idea: volendo misurare eventuali tracce di isotopi radiattivi, su materiale sufficientemente inerte, e piano, si può chiudere in una camera oscura appoggiato contro una lastra di autoradiografia, insomma facendole i raggi X. Dopo un certo numero di giorni si sviluppa la lastra che conterrà dei puntini là dove si sono depositati gli isotopi radiattivi.


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