sabato 2 marzo 2024

racconto su una amica, Keiko

 Era una amica di un amico, Giampaolo. Mi aveva lasciato il suo numero di telefono, raccomandandosi di chiamarla. Per un anno ci eravamo incontrati, una o più volte al mese, ero felice di vedere qualcuno fuori dall'ambiente di lavoro, e  di vedere la metropoli con i suoi occhi, e andare a mangiare cose nuove in posti in centro, in mezzo al viavai della domenica. Finito il mio soggiorno di un anno, ci siamo scritti,  scambiati dei CD, qualche cassetta musicale. A distanza di un anno, ecco l'occasione da cogliere, un contratto ben pagato, sempre lo stesso dipartimento, ospedale, periferia ben servita dalla metropolitana. Avevo superato lo straniamento, familiarizzato con le abitudini e la cultura, con l'ambiente di lavoro. C'erano nuove ragazze nell'istituto, con alcune ci avventuravamo in discorsi più personali. "Mi puoi accompagnare fino alla bicicletta? l'ho parcheggiata davanti alla biblioteca, ma c'è un ragazzo che potrebbe stare ad aspettarmi e non voglio vederlo". oppure confidenze come "hai letto Mori Yokou? il suo libro "Beddo no monogatari" le "storie di letto", ce l'ho sul mio comodino!" Con Keiko, abbiamo ripreso a vederci, non spesso, sempre con quella titubanza: questa settimana no, facciamo la domenica succesiva". Una sera mi invitò a Suginami, periferia a ovest di Nakano, a cena a casa di sua sorella, e del compagno, un fotografo internazionale che faceva reportage sui Rohingia, il popolo perseguitato di Burma. Bella compagnia, atmosfera frizzante, piacevole. Di sè non parlava molto, solo che era speaker radiofonica part-time, e che aveva un fratello discolo, asociale. Ci siamo salutati alla stazione della metro, come Cenerentola dovevo prendere l'ultimo passaggio prima della mezzanotte. In autunno, l'ho invitata a fare una gita in auto sulla costa del pacifico, Kita-Ibaraki,  abbiamo pranzato al sacco in un bosco, poi, sulla riva del mare, quando cominciò ad alzarsi la marea, da fare impressione, lei scrisse con un bastone dei kanji sulla sabbia, love. Cominciavo ad avere anche altre amiche, alcune erano conoscenze fugaci, di qualche sera e via, altre erano frequentazioni più continue. Prima di natale, le avevo proposto di passare l'ultimo dell'anno a casa mia, con l'invito a fermarsi a dormire. Imbarazzata, declinò l'invito di passare la notte da me, forse per via del posto così fuori mano. Però, avvicinandosi il giorno di capodanno, mi disse che sarebbe venuta a trovarmi. Nel pomeriggio siamo saliti sul monte Tsukuba, a visitare il tempio, vedere il panorama e le bancarelle, e per cena ci siamo preparati dei cibi per l'occasione, gelatina di inulina (radice del loto, in polvere). Non avevo capito che si era portata il cambio ed il pigiama, per restare, così le dissi che l'accompagnavo alla stazione per il rientro in serata. Grande incomprensione, ma anche grande sua incazzatura, che mi fece scontare qualche settimana dopo tenendomi quasi un'ora al telefono per farsi le sue ragioni. Dopo qualche mese, ci siamo riappacificati. Keiko era attiva in un gruppo filantropico, che organizzò un concerto di due suonatori di bandoneon, un maestro anziano ed un artista pià giovane, in pieno centro, in un teatro vicino a Shinjuku, sulla Yasukuni-dori. Le dissi che sarei venuto, ho comprato il biglietto, sono state impegnatissime nel servizio d'ordine e come maschere accompagnando gli ospiti del pubblico ai loro posti, alla fine del concerto l'ho vista, stanca e sudata, ma felice: felice per il successo finale, ma anche per i rapporti personali con il gruppo, per la autostima, per il superamento di blocchi psicologici, che la spingevano a ricorrere a psicoterapeuti e a seminari di motivazione personale. Dopo due mesi, ho finito il lavoro e sono partito. Non ci siamo più scritti, colpa mia, mi sono tuffato nel nuovo lavoro, ma so che  una fase problematica della sua vita era finita, e che una felicità nuova la stava accompagnando.


Ryogoku, Tokyo Edo museum

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